Liceo Statale

Maria Montessori

Lo scorso 7 e 8 maggio, la nostra scuola ha partecipato al seminario residenziale sulla didattica Dada presso l'Itis Alessandro Volta di Perugia, scuola selezionata dall'Indire come punto di riferimento per lo sviluppo della didattica Dada (Didattica in Ambienti di Apprendimento).1

Come sappiamo nella didattica Dada non sono più i docenti a spostarsi tra le classi ma gli studenti. Ma questo è solo una parte della filosofia che invece non si limita al solo spostamento ma bensi pone un'opzione didattica rivolta a mettere l'alunno veramente al centro del suo processo di apprendimento.

 

 Primi passi al Montessori

 Per noi si è trattato di iniziare, con l'avvio dell'a.s. 2014/2015, una sperimentazione di didattica Dada nel nostro Liceo linguistico. La motivazione di questa scelta va ricercata innanzitutto nell'identità e nella storia stessa di questa scuola.

Il desiderio di un ritorno al piano dell'innovazione e ad un confronto sperimentale e di ricerca con la didattica contrassegna ancora oggi la vita di questo istituto.

Sta di fatto che con l'inizio di quest'ultimo anno scolastico si sono attivati il Gruppo di Ricerca e Studi Montessori e iniziative come la Mostra montessoriana sugli etruschi, il corso di formazione sull'adolescente montessori, i contatti con il liceo Montessori di Amsterdam che ha portato alla delibera del progetto Erasmus plus da realizzare con gli amici olandesi. Questo senza contare le altre esperienze sperimentali (come quelle che si stanno portando avanti all'interno del Comitato Tecnico Scientifico del Liceo di Scienze Umane Economico Sociale, al rafforzamento della progettualità sperimentale extramoenia del Liceo Scientifico Scienze Applicate, come il gruppo degli studenti de La Casa delle Idee che sta sperimentando un primo piano di ricerca e ideazione di idee e progetti tecnologici, recuperando anche la tradizione tecnologica del liceo scientifico, ma potremmo andare avanti con altri esempi).

La didattica Dada al liceo linguistico non è quindi un'esperienza isolata e non vuole essere tantomeno circoscrivibile in un determinato spazio e tempo, ma si inserisce nella tradizione avanguardistica di una scuola che vuole rimettersi in moto sul piano dell'innovazione.

Per questo abbiamo deciso di impegnarci nel movimento delle “Avanguardie Educative” iniziando a lavorare confrontandoci con chi, in Italia, realizza già da anni una didattica Dada avanzata, volendo osservarla dal vivo, toccarla con mano come abbiamo fatto la settimana scorsa a Perugia.

 Ma la didattica Dada non è soltanto studenti, ma anche docenti in movimento

 Il progetto della didattica Dada è stato adottato all'unanimità del collegio docenti della nostra scuola, a riprova che su questo sentiamo tutti la sfida del cambiamento.

Ma se il lavoro si limitasse alla sola riorganizzazione dell'orario e allo spostamento degli alunni fra le classi, guarderemmo solo alla punta di un iceberg.

Si tratta invece di capire fino a che punto e come un approccio didattico sperimentale come quello della didattica Dada possa diventare spunto e prassi generativo di sviluppo del rapporto insegnamento – apprendimento e soprattutto dello studente come ricercatore e non solo accumulatore di conoscenza.

L'autonomia scolastica è nata in origine con questo obiettivo (si vedano a proposito le circolari del 1994, come la n. 257 o il decreto interministeriale 132/1994 sull'organico funzionale), quello cioè di fare della scuola un posto dove la ricerca di soluzioni ai problemi del sapere si fondessero con la tradizione trasmissivo-lineare. L'autonomia nasce per far evolvere la scuola da centro enciclopedico a vera e propria comunità di ricerca. Da ricercatori ci siamo quindi interrogati sull'esclusività di questa relazione e ci siamo messi in discussione, fino al punto di immaginarne uno sviluppo inclusivo.

Come ci insegna Maria Montessori, intanto bisogna "osservare". Chi si fosse aspettato delle risposte dal corso di formazione sull'adolescente montessori, sarà rimasto deluso dal constatare come da esso non originino risposte. La questione non è qui trovare le risposte, quanto più porsi le domande giuste.

Per questo, forti dell'insegnamento montessoriano che ci dice che l'insegnante debba essere come il ricercatore scientifico, insieme curioso e umile, ci siamo cimentati con l'osservazione della Didattica Dada in situazione. Bisognava andare a vederla applicata sul serio e sul campo. Non soprenderà allora sapere che lo spostamento degli alunni fra le classi (presso l'Itis Volta sono 1800 persone che si spostano ad ogni cambio dell'ora in un complesso di 14000 metri quadri) non è stata l'unica cosa che abbiamo studiato, quanto invece ci è interessato capire come si svolgessero poi le lezioni in classe.

Lezioni al cui interno teoria e prassi si fondono in un prodotto – fattore che è di pensiero critico e creativo, condiviso e cooperativo, e non solo accumulativo-appropriativo. Questo perché l'assunto fondamentale di questo tipo di approccio è che al centro non ci sono più argomenti e libri di testo, che invece diventano strumentali e funzionali alle finalità della lezione. Al centro ci sono le persone e il loro rapporto che le porta a esprimersi su un livello più alto di relazione. Un livello che potremmo dire di confronto culturale con i problemi posti dalla complessità.

 Didattica Dada “oltre” il movimento

 Il solo trasferimento degli alunni tra le classi non basta a soddisfare questa esigenza, quella cioè di rendere “attivi” gli studenti nell'interazione didattica stessa con il docente e la conoscenza.

Serve che lo spostamento di piano “fisico”si traduca anche in uno spostamento di piano per così dire "intellettuale" della relazione che si instaura in classe con il docente e con i compagni.

Nei due giorni di lavoro presso l'Istituto Tecnico Volta di Perugia, abbiamo infatti assistito anche a lezioni in classe in cui a risultare rovesciata è soprattutto l'organizzazione della relazione didattica.

Nell'approccio tradizionale, infatti, quello cioè fondato soprattutto sul piano teorico della conoscenza, prevale il ruolo del docente come centrale nella relazione didattica. In quello della didattica Dada (nella sua versione che potremmo chiamare avanzata, come quella praticata ormai da anni presso l'Itis Volta di Perugia) al centro è lo studente.

A parte alcune scelte di setting, come la disposizione di banchi e sedie (spesso dotati di ruote) e della stessa cattedra, ad essere spostata risulta la messa in fase della stessa lezione.

Per generare deuteroapprendimento (cioè "imparare ad imparare", secondo la definizione di Bateson) bisogna che il docente si sposti dal centro della scena per stimolare l'autonomia degli studenti. Concetto, questo, molto montessoriano. Quello che abbiamo quindi notato, visto e imparato a Perugia è che lo spostamento degli studenti fra le classi non serve soltanto a rimettere in moto il corpo per riprepararlo all'apprendimento (che è uno dei fattori di successo della metodica) ma per ricaricarlo anche di una nuova consapevolezza, quella che non ci si stia spostando per andare ad “assistere” ad una nuova spiegazione, quanto piuttosto a lavorare per costruire apprendimento autentico.

In ogni lezione, infatti, gli studenti risultano esposti solo in minima parte alla fase per così dire didascalica della didattica del docente, dal momento che questa risulta esaurita soprattutto nell'ambito della documentazione didattica (presentazioni, testi, bibliografie, sitografie, consegne e consigli di lettura e approfondimento, video, programmi, eserciziari, test di verifica e autoverifica ecc.) caricata in piattaforma (moodle). Gli studenti entrano in classe sapendo che il lavoro da svolgere sarà soprattutto incentrato sull'utilizzo di metodologie didattiche rivolte a stimolare l'apprenimdento cooperativo e la creatività (ad esempio attraverso il ricorso a metodologie come la flipped classroom, web quest, field trip, debate, brainstorming, proble solving ecc.) con l'obiettivo di rendere attivo e produttivo l'alunno all'interno di una relazione sociale funzionale alla produzione culturale.

Colpiva in questo senso sentire come alcuni docenti organizzassero i lavori di gruppo a partire da principi organizzativi più diversi (omogeneità dei livelli di apprendimento versus eterogeneità) tenendo spesso conto anche dello stile stesso di apprendimento (a seconda dell'intelligenza dell'alunno, se più visiva, uditiva, emotiva ecc.), altro indicatore di “centralità delle persone”.

Il modello parte dal presupposto che volendo combinare l'esigenza di questo spostamento (se non addirittura “rovesciamento”) di piano relazionale didattico, con le esigenze dell'ordinamento, serve che anche la valutazione formativa diventi funzionale a quella sommativa in base al principio di partecipazione e produttività.

Alla fine di ogni sessione di lavoro, infatti, l'alunno viene valutato in base al prodotto realizzato, al modo con cui ha partecipato alla sua realzzazione e secondo un principio di corresposnabilità del risultato condiviso tra singolo e gruppo di alunni.2

Il flusso valutato tiene conto

 dell'alunno che si sposta fra le classi (aula) -----------> dell'aula come ambiente di apprendimento --------------> dell'apprendimento come esperienza attiva ----------------> dell'attività dell'alunno come espressione della libertà di apprendimento.

 Il tipo di flusso qui esposto dimostra come soltanto un ambiente di apprendimento rivolto all'attività dell'alunno come supporto di conoscenza e quindi come supporto per la costruzione di ulteriore conoscenza è autentico e in grado di generare apprendimento autentico che, come tale, va valorizzato attraverso la valutazione.

Maria Montessori l'aveva già capito quando a proposito degli adolescenti chiarì che il suo metodo sviluppato per lo stadio evolutivo primario non avrebbe funzionato al secondario, con gli adolescenti appunto, per cui il problema sarebbe stato innanzitutto quello di metterli a confronto con la complessità del reale e dei cambiamenti.

Così la relazione che si instaura tra docente e alunno nell'ambito di una didattica Dada avanzata è quello per cui i supporti e le tecnologie debbano essere impiegate con il principale obiettivo di generare “riflessività”.

Ciò è risultato chiaro anche quando siamo entrati in classe con gli studenti che svolgevano la lezione di diritto centrata sul'articolo 47 della Costituzione. In questo caso la metodolgoia applicata era quella del webquest, per cui il gruppo classe risultava diviso in sottogruppi, uno di giuristi, uno di economisti e uno di tecnici (cioé di coadiuvaotri all'utilizzo e alla produzione di oggetti di apprendimento realizzati dagli altri gruppi di ricerca), con il fine di ricercare e produrre un contributo (letterario, multimediale, audio/video ecc.) da caricare in piattaforma (Moodle) alla fine della lezione. È stato interessante notare come le “competenze” dei vari gruppi (a seconda dei ruoli e dell'apprtenenza e della rotazione fra i gruppi) diventavano già in fieri prodotto “culturale”.

Quello che mi ha colpito è stata anche la “serenità” e la sicurezza con cui gli studenti si disponevano di fronte alla conoscenza. Una sorta di consapevolezza di “funionalità” e di condivisione ultragenerazionale del significato stesso delle informazioni trattate, all'interno della relazione didattica, come pressupposto positivo e inclusivo del talento e dello stile di apprendimento di ciascun alunno.

Così per la lezione di inglese, dove in un corso di "elettrotecnici", l'insegnante proponeva il tema dello “stereotipo” connesso al modo di curare la propria immagine, con un progetto (Mirror to mirror) portato avanti con altri studenti francesi e polacchi sulla piattaforma e-twinning. I vari prodotti richiesti alla fine delle singole sessioni di lavoro (post e contributi in supporti di social networking, questionari per interviste, piuttosto che rubriche di misurazione, misurazioni statistiche ecc.) hanno consentito agli studenti di acculturarsi di elementi antropologico-sociologici legati al tema dello stereotipo, del mercato dell'immagine, della moda e al concetto stesso di status symbol, di immaginario collettivo, della persuasione e manipolazione massmediatica, mentre lavoravano per raggiunere un traguardo di competenza previsto dal programma di inglese.

È questa la vera innovazione della didattica Dada, capace di generare riflessività e crescita culturale ad ogni livello (organizzativo, docenza, studenti) per cui il lavoro della lezione e dell'acquisione teorica si sposta sempre di più fuori dai confini e dai tempi della lezione unidirezionale, diventando pratica.

L'idea è quella di rendere la competenza occasione di empowerment e non di competizione fra le persone (cosa per altro facilitata dai modelli didattici esclusivi), quanto più fra comunità di persone rispetto ai problemi della complessità.

Solo così, infatti, potremo salvaguardare l'originalità e il talento del sinoglo studente ma anche il ruolo stesso di una docenza chiamata a saper metter gli studenti innanzitutto nella posizione di farsi domande giuste più che di consegnare loro risposte valide una volta per tutte.

 Conclusione, da una didattica Dada accennata ad una didattica Dada avanzata

 In conclusione, dunque, rileggendo da una parte le riflessioni di Maria Montessori sull'adolescente, dall'altro avendo vissuto personalmente questa esperienza nell'Itis Volta di Perugia, mi sono convinto che una via montessoriana allo sviluppo di metodologie e pratiche di “liberazione” dell'intelligenza e del talento dell'alunno in un quadro di autonomia di apprendimento anche alle secondarie di secondo grado è possibile.

D'altra parte nel nostro stesso corso di formazione sull'adolescente montessori abbiamo dedicato addirittura un intero incontro all'importanza degli ambienti di apprendimento, tanto ne condividiamo l'importanza.

Il Liceo linguistico si è messo perciò seriamente in movimento. La selta fatta a suo tempo è stata assolutamente disinteressata, discreta, mai sbandierata pubblicamente, nella consapevolezza che in educazione, da pedagogisti, soprattutto se votati alla ricerca come quelli montessoriani, sappiamo che non possiamo permetterci fughe in avanti senza attrezzarci prima sul piano intellettuale e poi organizzativo/tecnologico/formativo per affrontare l'innovazione. Non possiamo permettercelo nei confronti dei nostri studenti.

Questo nonostante si siano già fatti diversi passi avanti in questo senso e che non si parta completamente da zero. Ma c'è ancora tanta strada da compiere.

Già dal prossimo anno dobbiamo infatti affrontare queste priorità:

  • formazione del personale (valutativa, metodolocgica e tecnologica)

  • completamento dell'attrezzatura tecnologica e avvio dell''attività sulla piattaforma Moodle

  • allestimento aule come ambienti di apprendimento

Ciò determinerà anche una richiesta di investimento, in parte già adottato dalla scuola (come quello tecnologico) in parte ancora da progettare a partire dal prossimo anno.

Giovanni Scancarello 

 

 

 

 

2   Si vedano a proposito i contributi sulla “valutazione autentica” dell'”apprendimento autentico” come quello pubblicato all'indirizzo http://www.cde-pc.it/documenti/rubric_Zecchi.pdf e quello pubblicato all'indirizzo http://www.istruzioneer.it/wp-content/uploads/2011/materiali_delle_scuole/applicazione_pratica_delle_rubric.pdf

 

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